(massima n. 3)
Qualora il giudice, pronunciando sentenza non definitiva, ometta di emanare separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio, non opera l'art. 289 c.p.c., riguardante i provvedimenti istruttori non contenenti la fissazione dell'udienza successiva e del termine entro cui le parti devono compiere atti processuali, né sono applicabili analogicamente le norme sull'interruzione del processo (artt. 299 e 300 c.p.c.), che consegue ad eventi specifici che colpiscono la parte, ovvero la disposizione per cui il termine determinato dal giudice per la rinnovazione della citazione, la prosecuzione, riassunzione o integrazione del giudizio non può superare i sei mesi (art. 307, terzo comma, c.p.c.) o quelle che stabiliscono un termine di sei mesi per la riassunzione della causa (artt. 50, 54, ecc., c.p.c.), le quali tutte postulano un onere di iniziativa a carico della parte all'uopo di compiere il prosieguo, nello stesso o in altro grado, del procedimento; mentre un onere siffatto non esiste nella situazione suindicata, ma la prosecuzione del processo resta rimessa all'adempimento da parte del giudice dei suoi doveri istituzionali, salva la facoltà dell'interessato di avvalersi di un atto riassuntivo come mezzo al fine di riprendere il contatto con l'ufficio giudiziario ed in quella sede instare per l'emissione del provvedimento istruttorio omesso.