(massima n. 1)
L'esercizio dell'impresa familiare è incompatibile con la disciplina societaria attesa non solo l'assenza nell'art. 230 bis cod. civ. di ogni previsione in tal senso, ma, soprattutto, l'irriducibilità ad una qualsiasi tipologia societaria della specifica regolamentazione, patrimoniale, ivi prevista in ordine alla partecipazione del familiare agli utili ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, che sono determinati in proporzione alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato e non alla quota di partecipazione, ponendosi altresì il riconoscimento di diritti corporativi al familiare del socio in conflitto con le regole imperative del sistema societario. Tale soluzione, inoltre, è coerente con una interpretazione teleologica della norma - introdotta dalla riforma del diritto di famiglia con una norma di chiusura della disciplina dei rapporti patrimoniali (art. 89 della legge 19 maggio 1975, n. 151) - che, come si evince dall'"incipit" dell'art. 230 bis cod. civ. ("salvo sia configurabile un diverso rapporto"), prefigura l'istituto dell'impresa familiare come autonomo, di carattere speciale (ma non eccezionale) e di natura residuale rispetto ad ogni altro rapporto negoziale eventualmente configurabile.