(massima n. 1)
Il reato di cui all'art. 221 Tuls, che consiste nell'utilizzazione dell'immobile senza licenza d'abitabilità, cioè nel tenere una condotta positiva in assenza del provvedimento abilitativo, è permanente fino al momento in cui sopravviene l'autorizzazione ovvero cessa la condotta: trattandosi, però, di un reato commissivo, la prosecuzione dell'attività vietata deve, da un lato, risultare dall'imputazione e, dall'altro, essere accertata in punto di fatto. Pertanto, nell'ipotesi in cui sia precisata soltanto l'epoca dell'accertamento, il giudice, qualora non emerga dagli atti la prova del permanere della condotta - in applicazione del principio in dubio pro reo, esplicazione di quello più ampio del favor rei - non può avvalersi di una mera presunzione di carattere teorico, che ne aggancia la cessazione alla pronuncia di primo grado, senza alcun richiamo ad un testuale dettato normativo, ma deve arrestare la conoscenza dei fatti a quella data che è stata portata a conoscenza dell'imputato e sulla quale lo stesso ha avuto modo di difendersi. (Nella specie la S.C., osservato che risultava dal testo della sentenza di primo grado che i lavori erano stati ultimati; che l'utilizzazione dell'immobile successivamente alla data della contestazione era desumibile dal rilievo secondo cui il decreto di citazione del giudizio d'appello era stato notificato proprio nel luogo ove è sita l'opera abusiva, ne faceva derivare la necessità di fare riferimento alla data della sentenza di primo grado).