(massima n. 1)
La ragione ispiratrice della disposizione dell'art. 147 comma primo n. 2 c.p. — che consente il rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica — è quella di evitare al condannato trattamenti inumani e la sua sottomissione ad una pena di fatto più grave di quella irrogatagli, in quanto espiata in uno stato di menomazione fisica di tale rilevanza da implicare necessariamente, oltre alla preoccupazione legata ad un eventuale giudizio di inadeguatezza dell'assistenza sanitaria, istituzionalmente garantita, anche il profondo disagio morale prodotto dal particolare tipo di vita imposto dal carcere a chi, non solo non può approfittare delle opportunità offertegli per la sua rieducazione, ma vede amplificarsi senza rimedio gli aspetti negativi: a tali criteri il giudice deve riferirsi ai fini della decisione in presenza di un'istanza di rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità fisica. (Nella fattispecie si trattava di un'ordinanza con la quale il tribunale di sorveglianza aveva rigettato un'istanza di rinvio della pena per grave infermità fisica, limitandosi a sottolineare la compatibilità delle infermità da cui era affetto il condannato con il regime carcerario; la Suprema Corte, a seguito di ricorso proposto dai difensori dell'interessato, ha annullato con rinvio l'impugnata ordinanza e, nell'enunciare il principio come sopra massimato, ha sottolineato innanzi tutto la estraneità, rispetto all'istituto del rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità, del concetto di compatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario, ed ha quindi osservato che la detta ordinanza appariva carente di motivazione avendo il tribunale escluso, senza di ciò indicare congruamente le ragioni e senza pertanto tener conto dei criteri di cui in massima, la negativa incidenza delle infermità sulla vita del recluso).