(massima n. 1)
In tema di imputabilità, il «disturbo antisociale della personalità» può rientrare nella nozione di infermità e può incidere, escludendola o scemandola grandemente, sulla capacità di intendere o di volere. Quest'ultima può assumere rilevanza autonoma anche in presenza di accertata capacità di comprendere il disvalore sociale della azione delittuosa, solo quando gli impulsi della azione, pur riconosciuta come riprovevole dall'agente, siano tali da vanificare la capacità di apprezzarne le conseguenze. (Fattispecie nella quale l'imputato di furto di una autovettura aveva dedotto di essere affetto da un disturbo della personalità che lo induceva a compiere furti nei cimiteri. I giudici di merito lo avevano condannato escludendo la rilevanza della pur ipotizzabile incapacità di volere e la Corte ha ritenuto tale motivazione non contraddittoria, osservando che la esistenza di un impulso non può essere considerata come causa da sola sufficiente a determinare un'azione incoerente con il sistema di valori di chi la compie, essendo onere dell'interessato dimostrare il carattere cogente, nel singolo caso, dell'impulso stesso).