(massima n. 1)
La circostanza che, secondo il sistema originariamente delineato dal legislatore del 1939, delle due offese costituenti la struttura dell'aberratio ictus plurioffensiva, una — ossia quella risultata più grave, che però in ipotesi potrebbe essere anche quella non voluta — fosse imputata al suo autore a titolo di dolo, mentre la altra offesa gli era attribuita a titolo di responsabilità oggettiva sulla mera base di un adeguato rapporto di causalità ed indipendentemente da ogni accertamento in ordine all'elemento soggettivo, non significa che nel mutato contesto normativo in cui l'istituto è inserito (tenuto conto della riforma del trattamento sanzionatorio per il concorso formale dei reati), non si debba oggi considerare in relazione alle singole — e non tutte riconducibili ad unità — modalità del caso di specie, l'effettivo titolo di imputazione di ciascuna offesa, per farne scaturire conseguenze sicuramente oggi previste dalla legge. (Nella specie l'offesa voluta si era concretata nell'evento morte in danno di una persona, con addebito di omicidio volontario poichè alla realizzazione di quell'evento era consapevolmente diretta la volontà dell'imputato, il quale, dopo avere accuratamente preso la mira verso il bersaglio prescelto, esplose il colpo di fucile nella cui traiettoria venne ad inserirsi la testa di altra persona, che rimase colpita di striscio. La S.C. ha escluso che quest'ultima offesa, non voluta dall'agente neppure nella forma del dolo eventuale, potesse essere ritenuta tentato omicidio, ravvisando, invece, un'ipotesi di colpa cosciente, della quale, però, l'imputato doveva rispondere a titolo di dolo, avendo il legislatore valorizzato la particolare situazione illecita in cui versava lo stesso, con susseguente configurabilità, quindi, del delitto di lesioni volontarie).