(massima n. 1)
In tema di attività illecite concernenti gli stupefacenti, l'evento morte dell'acquirente in conseguenza dell'assunzione della droga ceduta non costituisce, di per sé, elemento ostativo all'applicazione della circostanza attenuante della lieve entità del fatto di cui all'art. 73, quinto comma, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. Infatti una corretta nozione del concetto di «globalità» dell'accertamento, ai fini della concessione della detta attenuante non può paradigmaticamente ricomprendere il verificarsi di tale evento, conseguito ad assunzione di sostanza stupefacente, ed addebitabile all'agente a titolo di colpa consistita nella violazione della legge sugli stupefacenti e nella conseguente prevedibilità dell'evento letale. Oltre tutto, la nozione di «mezzi, modalità e circostanze dell'azione» è da riconnettere — secondo la costante giurisprudenza di questa corte ed i «decisa» della Corte costituzionale derivanti dalle sentenze n. 333 del 1991 e n. 133 del 1992 — all'ambito proprio delle attività illecite concernenti gli stupefacenti (spaccio episodico o sistematico, esistenza o non di un'organizzazione sia pure rudimentale, e così via), restando al di fuori delle condizioni previste dall'art. 73, quinto comma, D.P.R. n. 309 del 1990, un evento non voluto dall'agente ed esterno al regime della repressione penale in materia ed, oltre tutto, autonomamente addebitato applicando le disposizioni di cui agli artt. 586 e 589 c.p.