(massima n. 1)
La finalità perseguita dall'art. 316 bis c.p., introdotto dall'art. 3 della L. 26 aprile 1990, n. 86, è quella di reprimere le frodi successive al conseguimento di prestazioni pubbliche dallo scopo tipico individuato dal precetto che autorizza l'erogazione, uno scopo di interesse generale che risulterebbe vanificato ove il vincolo di destinazione venisse eluso. Presupposto della condotta è però che la prestazione pubblica si sostanzi in sovvenzioni, contributi o finanziamenti, intendendo, sotto le prime due denominazioni le attribuzioni pecuniarie a fondo perduto, di carattere gestorio e sotto la terza denominazione gli atti negoziali che si caratterizzano per l'esistenza di un'onerosità attenuata rispetto a quella derivante dall'applicazione delle ordinarie regole di mercato. L'art. 316 bis c.p. si presenta, perciò — nonostante qualche, peraltro trascurabile, differenza lessicale — come una prescrizione parallela all'art. 640 bis dello stesso codice, operante, però, non nel momento precettivo della erogazione, ma nella fase esecutiva. Presupposto imprescindibile di entrambe le fattispecie è, quindi, l'esistenza di condizioni di favore — fino all'assoluta gratuità — nella prestazione: quando, invece, tali condizioni siano assenti, essendo corrispondentemente assente uno scopo legale tipico, si è fuori della rilevanza penale del fatto.