(massima n. 1)
Colpevolezza e imputabilità agiscono su piani diversi, poichè la seconda costituisce il presupposto non solo logico e giuridico, ma anzitutto naturalistico della prima. Pertanto, i due concetti sono fra loro indipendenti, sicchè l'indagine sulla colpevolezza, presupponendo il superamento logico di quella sulla imputabilità, non può ulteriormente essere influenzata da quest'ultima, nemmeno nell'ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere. Infatti, nello status di imputabilità diminuita per vizio parziale di mente residua pur sempre — anche se scemata — la capacità di intendere e di volere, la cui diminuzione non postula un concetto di dolo diverso dall'art. 43 c.p. e può avere influenza nei reati qualificati da peculiare dolo specifico, ma non in quelli caratterizzati dalla sufficienza del dolo generico. (Nella specie il ricorrente, imputato di diserzione, aveva denunciato la violazione dell'art. 43 c.p., per difetto dell'elemento psicologico in quanto il proprio comportamento era stato determinato dalla volontà di sottrarsi, con la fuga, al suicidio. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenuto ininfluente il fine perseguito dall'imputato, poichè il reato in esame richiede il dolo generico ed è quindi sufficiente la sola coscienza e volontà della condotta, perciò non rilevando, ove sussistente, nemmeno il dolo alternativo).