(massima n. 1)
Qualora un ente pubblico abbia acquistato il godimento di un immobile mediante un contratto di locazione, l'avvenuta destinazione del bene (con provvedimento contestuale o successivo alla stipulazione del contratto) a sede di pubblico ufficio non è idonea, in mancanza di un successivo provvedimento di carattere ablatorio, a mutare la natura privatistica del rapporto e la sua assoggettabilità alle norme di diritto comune; con la conseguenza che il locatore può agire davanti al giudice ordinario per l'accertamento della cessazione del rapporto e la condanna dell'ente pubblico locatario al rilascio, senza che, riguardo a tale pronuncia, operi il divieto di cui all'art. 4, all. E della L. n. 2248 del 1865, atteso che l'atto con cui è stato impresso al bene un vincolo di destinazione ad utilità pubblica, in quanto emesso al di fuori dei poteri ablatori e quindi in totale carenza di potere, è equiparabile, ancorché formalmente amministrativo, ad un comportamento materiale della pubblica amministrazione non ricollegabile all'esercizio di potestà amministrativa.