(massima n. 1)
Nel rito del lavoro, il principio secondo cui, in caso di morte della parte successivamente al deposito della sentenza di primo grado, l'atto di impugnazione deve essere diretto e notificato nei confronti dei soggetti che siano reali parti di rapporto, attualmente interessate alla controversia, va integrato con il principio secondo cui, in detto rito, l'atto di appello si realizza, quale editio actionis, con il tempestivo deposito del relativo ricorso introduttivo, che impedisce il verificarsi di ogni decadenza dell'impugnazione stessa; ne consegue che, se il decesso si sia verificato dopo il deposito del ricorso e prima della sua notificazione (caso in cui non è configurabile l'ipotesi interruttiva disciplinata dall'art. 328 c.p.c.), e tuttavia la notificazione sia avvenuta presso il procuratore domiciliatario del soggetto deceduto, invece che alle attuali parti del processo, il relativo vizio deve essere segnalato all'appellante (art. 421 c.p.c.) affinché possa procedere ad una corretta notificazione nel termine perentorio a tale scopo assegnatogli. (Nella specie, poiché il giudice di appello non aveva avuto modo di rilevare il vizio, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza conseguentemente pronunciata).