(massima n. 1)
Nel rito del lavoro — nel quale la proposizione dell'appello, come esercizio del potere di impugnazione editio actionis, si perfeziona, a norma dell'art. 434, comma 2, c.p.c., con il tempestivo deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale, mentre la notifica del ricorso medesimo e del decreto di fissazione dell'udienza di discussione costituisce un elemento esterno alla fase introduttiva del giudizio di impugnazione, attraverso il quale si realizza la vocatio in ius dell'appellato — sussiste la nullità della notificazione del ricorso e del pedissequo decreto nel caso in cui lo scopo da essa perseguito (vocatio in ius) non sia stato raggiunto, con conseguente violazione del principio del contraddittorio o del diritto di difesa, il che accade, in particolare, quando il ricorso dell'appellante sia stato notificato in forma non integra, ovvero con brani non leggibili, o quando non leggibile e lacunoso sia il decreto presidenziale ovvero vi siano difformità rilevanti fra l'originale del ricorso e del decreto e la copia notificata, tali comunque da rendere inintelleggibile il contenuto intrinseco del provvedimento e non individuabile nelle sue forme essenziali l'atto da notificare. (Nella specie, la sentenza impugnata aveva ritenuto la ritualità della notificazione in una ipotesi nella quale la copia notificata del ricorso era priva della certificazione dell'avvenuto deposito dell'originale nonché dell'attestazione, da parte della cancelleria, di conformità allo stesso, avendo rilevato che la notificazione era avvenuta mediante consegna al destinatario di una copia fotostatica dell'originale del ricorso e del decreto presidenziale e che nella relata di notifica l'ufficiale giudiziario aveva dato atto di aver consegnato una copia conforme all'originale. La Suprema Corte nel confermare la decisione ha enunciato il suddetto principio).