(massima n. 1)
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, qualora l'appello abbia contenuto esclusivamente rescindente, in quanto il riscontro del motivo di invaliditā esaurisce l'oggetto della cognizione riservata al giudice di secondo grado, la parte soccombente ha interesse a dedurre un mero vizio di nullitā del giudizio di primo grado, dovendo la causa essere rimessa al primo giudice perché il giudizio sia rinnovato con contraddittorio regolarmente costituito. Ove, invece, l'appello cumuli in sé "iudicium rescindens" e "iudicium rescissorium", in quanto diretto non alla mera eliminazione di un atto illegittimo, ma alla rinnovazione del giudizio di merito, č necessario che la parte soccombente non si limiti a censurare i vizi di attivitā del primo giudice - che hanno carattere meramente strumentale - ma deduca ritualmente e tempestivamente le questioni di merito, dovendosi, diversamente, ritenere l'inammissibilitā dell'appello per difetto d'interesse in quanto l'eventuale fondatezza della censura non comporta il potere del giudice di pronunciare sul merito della controversia. Ne consegue che ove sia stata rilevata la nullitā dell'introduzione del giudizio, determinata dall'inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall'art. 415, quinto comma, c.p.c., il giudice d'appello non puō limitarsi a dichiarare la nullitā e a rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi nč la nullitā della notificazione dell'atto introduttivo, nč alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, primo comma, c.p.c.), ma deve trattenere la causa e, previa ammissione dell'appellante, rimasto contumace in primo grado, ad esercitare in appello tutte le attivitā che avrebbe potuto svolgere se il processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito.