(massima n. 1)
Nel rito del lavoro, l'attribuzione al giudice di poteri istruttori d'ufficio, ai sensi dell'art. 421, secondo comma, c.p.c., incontra un duplice limite, poiché, da una parte, deve rispettare il principio della domanda e dell'onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall'altra, deve rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice, sicché — in sostanza — la norma dispensa la parte dall'onere della formale richiesta della prova e dagli oneri relativi alle modalità di formulazione dell'oggetto della prova, ma richiede pur sempre che, dall'esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall'assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che sussistano significative «piste probatorie» emergenti dagli atti di causa. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che — in relazione alla domanda di riconoscimento di provvigioni derivanti da attività di promozione di contratti di leasing svolta per una società finanziaria — aveva escluso l'esercizio dei poteri ex art. 421 c.p.c. ritenendo che i fatti dedotti dal ricorrente erano sforniti di un minimo supporto probatorio e per la loro genericità non facevano desumere quale fosse stata l'attività concretamente svolta).