(massima n. 1)
Poiché l'art. 324 c.p.c. definisce assistita dall'autorità della cosa giudicata in senso formale la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza (inteso come mezzo di impugnazione), né ad appello, né a ricorso per cassazione e né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c., la tempestiva proposizione avverso una sentenza emessa in grado di appello dell'impugnazione per revocazione ai sensi del n. 4 o del n. 5 suddetti, nella nuova situazione normativa — determinatasi a seguito della novellazione dell'ultimo comma dell'art. 398 c.p.c. — nella quale la proposizione della revocazione non ha effetto sospensivo automatico del termine per il ricorso per cassazione o del relativo procedimento se già instaurato, salvo che così disponga il giudice della revocazione, qualora non abbia luogo, da parte di quel giudice, la sospensione del corso del termine per il ricorso in Cassazione ed esso si consumi, non si determina il passaggio in giudicato della sentenza e non è in alcun modo precluso l'esame del ricorso per cassazione proposto avverso la successiva decisione sulla revocazione (sulla base di tale principio la Suprema Corte, nel decidere, dopo averli riuniti, sul ricorso per cassazione avverso la sentenza sulla revocazione e sul ricorso per cassazione ordinario avverso la sentenza già impugnata con la revocazione, ha escluso che la tardività e, quindi, inammissibilità del secondo ricorso, proposto oltre il termine lungo ex art. 326 c.p.c., potesse precludere l'esame del ricorso — invece tempestivamente proposto — avverso la sentenza sulla revocazione, rilevando inoltre che quest'ultimo esame doveva avvenire prioritariamente, in quanto l'accoglimento del relativo ricorso avrebbe determinato l'assorbimento dell'esame del ricorso per cassazione ordinario).