(massima n. 1)
La parte che, a causa dell'esecuzione di una misura cautelare, abbia subito danni, può far valere il relativo diritto al risarcimento nel procedimento di reclamo in cui impugni la misura cautelare soltanto nel caso previsto dal primo comma dell'art. 96 c.p.c., cioè ove lamenti che la parte istante ha agito con dolo o colpa grave nel domandare la cautela (perché ne mancavano le condizioni) o nell'eseguirla (come, ad esempio, nel caso di sequestro conservativo, se il sequestro sia stato eseguito su bene non suscettibile di pignoramento), e non invece nel caso previsto dal secondo comma dello stesso art. 96, posto che il suddetto procedimento non può costituire la sede in cui può avere luogo un accertamento pieno della inesistenza del diritto cautelato. Nel caso in cui sia fatto valere il diritto al risarcimento ai sensi del suddetto primo comma dell'art. 96, avverso il rigetto della relativa istanza, pur in presenza della revoca della misura cautelare ovvero avverso l'accoglimento dell'istanza che si accompagni alla revoca dei detta misura, è proponibile l'opposizione di cui al terzo comma dell'art. 669 septies c.p.c., rispettivamente dalla parte che aveva proposto l'istanza e dalla parte che aveva chiesto ed eseguito i provvedimento cautelare, ma si concluda con la sua conferma o con la sua modifica (anche consistente nella sola imposizione di una cauzione), il consequenziale rigetto dell'istanza ex primo comma dell'art. 96 c.p.c. non ha valore definitivo e non è, dunque, precluso alla parte istante di far valere detto diritto (eventualmente unitamente a quello ex secondo comma dell'art. 96) o nel successivo giudizio di merito, introdotto dalla parte istante la misura cautelare o, per il caso di mancato inizio di tale giudizio, con un'autonoma domanda (da proporsi al giudice competente secondo le regole ordinarie), restando invece in ogni caso esclusa la ricorribilità in cassazione della suddetta statuizione di rigetto.