(massima n. 1)
Il principio processuale della consumazione dell'impugnazione — in base al quale la parte rimasta in tutto o in parte soccombente esercitando il potere di impugnazione consuma la facoltà di critica della decisione che la pregiudica e non può proporre in prosieguo altri motivi, o ripetere, specificare o precisare quelli già dedotti, sempre che si tratti di due impugnazioni della stessa specie e che al tempo della proposizione della seconda l'inammissibilità della precedente sia stata già dichiarata —, benché previsto dal codice di rito solo con riferimento all'estinzione del procedimento d'appello o di revocazione nei casi previsti dai nn. 4 e 5 dell'art. 395 (art. 338 c.p.c.) e alla declaratoria d'inammissibilità od improcedibilità dell'appello (art. 358 c.p.c.) o del ricorso per cassazione (art. 387 c.p.c.) ha carattere generale, e deve ritenersi applicabile ogniqualvolta il procedimento d'impugnazione non pervenga, quale ne sia il motivo, ad una decisione di merito. Pertanto, il suindicato principio trova applicazione anche in ipotesi di declaratoria di «irricevibilità» prevista nell'ambito del procedimento speciale avanti alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie di cui al D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, artt. 53 e 54, ultimo comma, per il caso di inosservanza dei termini e dei modi ivi prescritti per la proposizione dell'atto introduttivo del giudizio, e per il mancato rispetto del termine fissato per l'integrazione del contraddittorio, cui non può riconoscersi significato autonomo e distinto dall'inammissibilità o dall'improcedibilità.