(massima n. 1)
La condotta criminosa prevista dall'art. 229 della legge fallimentare è quella del curatore che riceve o pattuisce una retribuzione, in danaro o in altra forma, in aggiunta all'altra liquidata in suo favore dal tribunale o dal giudice delegato, e la statuizione, strettamente collegata a quella dell'art. 39, comma 3, della stessa legge, è ispirata allo scopo di sottrarre il curatore alle suggestioni economiche ed ai contratti di natura patrimoniale con le parti private, per assicurarne la natura di organo processuale indipendente nelle sue determinazioni; sicché — nella qualificazione dell'ipotesi criminosa come reato di pericolo, la cui oggettività giuridica è da ravvisare nella «venalità del curatore» ed il cui elemento soggettivo si sostanzia nella consapevolezza dell'agente della mancata osservanza delle forme previste per la liquidazione del compenso — è agevole coglierne la differenza con le diverse ipotesi della concussione, nella quale la dazione o la promessa, quale realizzazione di una pretesa illecita, suppongono, altresì, l'abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale e l'esercizio di una pressione psichica, prevaricatrice della volontà del privato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la definizione del fatto operata dal giudice di merito il quale aveva affermato l'esistenza della concussione nel comportamento del custode fallimentare che attraverso costrizione o induzione aveva determinato le parti a corrispondere la utilità richiesta al fine di destinarle a scopo ben diverso della integrazione del compenso, dovutogli, peraltro, all'esito della procedura fallimentare).