(massima n. 1)
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 223 cpv., n. 1 della legge fallimentare, nella parte in cui richiama l'art. 2621 c.c., in riferimento all'art. 3 Cost., per il trattamento deteriore riservato all'amministratore di società dichiarata fallita rispetto all'amministratore di società non fallita che commetta l'identico fatto, nonché rispetto all'amministratore di società egualmente fallita che commetta fatti ancor più lesivi del patrimonio della società, quali quelli di cui agli artt. 2624, 2625 e 2629 c.c. Il diverso, e più grave, trattamento punitivo è infatti ragionevolmente giustificato dalle esigenze della repressione penale dell'insolvenza, presente nella prima fattispecie e non nella seconda, mentre per quanto riguarda il mancato rinvio alle disposizioni di cui agli artt. 2624, 2625 e 2629 c.c., esso si giustifica per il fatto che, quando intervenga il fallimento della società, le condotte ivi descritte possono riassumersi nelle ipotesi tipiche di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all'art. 216, n. 1 della legge fallimentare.