(massima n. 1)
Nei delitti associativi l'effetto interruttivo della permanenza del reato deve ricollegarsi alla sentenza, anche non irrevocabile, che accerti la responsabilità dell'imputato, da ciò conseguendo che la porzione di condotta illecita successiva a detta pronuncia, pur non ontologicamente disgiungibile dalla precedente, rimane perseguibile a titolo di reato autonomo. Qualora, viceversa, sia stata pronunciata assoluzione, non può ritenersi operante in virtù di tale sentenza alcun effetto interruttivo della permanenza della condotta criminosa, proprio perché è carente l'accertamento di un reato, da ciò conseguendo esclusivamente la preclusione del giudicato di cui all'art. 649 c.p.p.; in tali ipotesi, pertanto, il divieto di un secondo giudizio vale solo per i fatti verificatisi fino alla data indicata nella contestazione, indipendentemente dalla data di pronuncia della sentenza assolutoria. (In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto legittima l'ordinanza cautelare avente ad oggetto la condotta associativa tenuta dal prevenuto in periodo pur antecedente all'intervenuta sentenza di assoluzione dall'imputazione di appartenenza al medesimo sodalizio criminoso, ma comunque successivo alla data indicata nella contestazione in ordine alla quale l'assoluzione era intervenuta, solo fino alla quale poteva dirsi operante la preclusione del precedente giudizio).