(massima n. 1)
Il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 ss. c.p.c. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui o, contemporaneamente, nelle altrui e nella propria, e come tale si ricollega all'esistenza di un rapporto di natura sostanziale e si instaura a seguito di domanda di rendiconto proposta in via principale od incidentale, sviluppandosi, quindi, come un giudizio di cognizione di merito, sia pure speciale, il cui atto terminale — in caso di accettazione del conto — è un'ordinanza non impugnabile del giudice istruttore, mentre — in caso contrario — è una sentenza (se del caso parziale quando trattasi di procedimento promosso in via incidentale) avente attitudine ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente l'obbligo di rendiconto (e ciò, o in via esclusiva, o in via strumentale, rispetto ad altra situazione costituente il diritto principale cui si ricollega l'obbligo di rendiconto). Il suddetto procedimento è, tuttavia, dalla legge previsto come applicabile anche a taluni rapporti di natura processuale (come la tutela, la custodia e l'amministrazione giudiziaria dei beni immobili esecutati o assoggettati a sequestro, la curatela fallimentare), ma in tal caso la disciplina del procedimento non sempre è quella degli artt. 263 ss. c.p.c. nella sua integralità, come si verifica nel caso in cui si tratti dell'obbligo di rendiconto da rendersi dall'amministratore giudiziario nominato ex art. 676 c.p.c., in cui il procedimento sorge in forza dell'ordine del giudice di presentare il conto e si conclude, a norma dell'art. 593 c.p.c., sia che si tratti di conti parziali che totali, con un'ordinanza non impugnabile, la quale non è neppure ricorribile ex art. 111 Cost., difettando del requisito della decisorietà e definitività, giacché non contiene statuizioni dirette a dirimere un contenzioso fra le parti, ma si caratterizza come atto di amministrazione, nell'ambito dei poteri di verifica e di controllo del giudice sull'operato del custode, tanto che eventuali responsabilità di quest'ultimo possono farsi valere in un autonomo giudizio della parte che risulti titolare del diritto controverso in funzione della cui preservazione l'amministrazione venne tenuta (nella specie, in applicazione di tali principi la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata e dichiarata improponibile ex art. 382, terzo comma, c.p.c. la domanda con la quale, nell'ambito di un procedimento di sequestro giudiziario, concesso in corso di impugnazione di lodo arbitrale avanti ad una corte d'appello, a seguito della presentazione del conto, ordinata dal consigliere istruttore, si era impugnato il conto e si era dato corso al giudizio di rendiconto, pronunciandosi, quindi, da parte della corte d'appello, una sentenza parziale su alcune questioni, contro la quale era stato proposto ricorso per cassazione.