(massima n. 1)
Qualora, nel giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito del fallito, il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all'accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento e per la quale non si ponga l'esigenza di derogare, ai sensi dell'art. 36 c.p.c., alle ordinarie regole sulla competenza (perché la domanda riconvenzionale rientri, già in base alle regole ordinarie, nella competenza territoriale del tribunale adito dal curatore con la domanda principale), la trattazione unitaria delle due cause non è imposta dall'art. 36 cit.; ne consegue che l'improponibilità — nel giudizio introdotto dal curatore davanti al giudice competente secondo le regole ordinarie — della riconvenzionale soggetta al rito speciale dell'accertamento del passivo fallimentare comporta, ancorché le due cause traggano fondamento dal medesimo titolo contrattuale, la separazione delle cause stesse, restando quella principale incardinata dinanzi al giudice per essa competente, ritualmente adito dal curatore, atteso che l'esigenza del simultaneus processus né può derogare al rito speciale fallimentare, né può (al di fuori dell'ipotesi di cui all'art. 36 cit.) sottrarre la domanda principale al giudice che per essa sia naturalmente competente, per devolverla, con travisamento della struttura logica del sistema concorsuale, al giudice fallimentare, e deve rimediarsi con l'istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c. all'esigenza del simultaneus processus posta dall'identità del titolo.