(massima n. 1)
Ai sensi dell'art. 122 c.p.c., l'italiano resta la lingua ufficiale del processo, che deve essere usata per gli atti compiuti dal difensore della parte appartenente alla minoranza linguista, di cui quest'ultima ha però il diritto di chiedere la traduzione. Il rifiuto eventualmente opposto dal giudice non determina tuttavia, ex se l'invalidità degli atti processuali per mancato rispetto delle norme di garanzia ricollegabili al principio dell'art. 6 Cost., una tale conseguenza potendosi avere solo quando l'interessato deduca che la mancata traduzione non l'ha posto, in concreto, nelle condizioni di comprendere il contenuto di atti processuali compiuti nella lingua ufficiale, menomandolo nei propri diritti di azione e di difesa. La verifica se la parte processuale che gode della protezione conosca o meno la lingua italiana e se la mancata traduzione abbia inciso sul diritto dell'appartenente alla minoranza linguistica di agire e di difendersi nel processo è demandata, previa necessaria specifica denuncia dell'interessato, in via esclusiva al giudice del merito, di talché ove questi — con valutazione immune da vizi, e quindi insindacabile in sede di legittimità escluda un simile pregiudizio, la violazione in sé della tutela accordata dall'ordinamento interno al cittadino appartenente alla minoranza linguistica resta priva di rilevanza (cfr. Corte cost., sentenza n. 15 del 1996). (Principio espresso in fattispecie di cittadino appartenente alla minoranza linguistica slovena).