(massima n. 2)
Al fine di evitare il più possibile distonie tra diritto europeo e diritto interno in materia di danno ambientale, la disciplina processuale nazionale va interpretata in modo che non risulti inibito il perseguimento degli obbiettivi e delle priorità sancite dalla normativa europea che, con la Direttiva n. 2004/35/CE, reca il principio della preminenza delle misure di ripristino dello stato dei luoghi. Pertanto, l'applicazione delle norme di procedura civile in chiave preclusiva della possibilità di accedere alle misure ripristinatone, in luogo di quelle risarcitone in via equitativa richieste dall'attore nell'atto introduttivo, non risulta conforme al richiamato criterio di derivazione europea che privilegia la tutela reale. Ne consegue - alla luce dell'assetto peculiare che la materia del riferimento al danno ambientale ha ricevuto nel nostro ordinamento - che va affermata la tesi della potenziale officiosità dell'ordine di ripristino (e cioè del risarcimento in forma specifica anche laddove l'attore abbia richiesto esclusivamente una tutela per equivalente, essendo dunque ammissibile il passaggio dalla richiesta di tutela per equivalente a quella reale, in chiave sollecitativa di una facoltà riconosciuta al giudice).