(massima n. 1)
Il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c. — che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda — deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell'ambito del petitum rilevi d'ufficio un'eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall'attore, può essere sollevata soltanto dall'interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito fosse incorso nella violazione del predetto principio in quanto, avendo nel ricorso introduttivo il lavoratore contestato la legittimità del collocamento in cassa integrazione, invocando a sostegno della sua domanda specifiche ragioni dirette a comprovare la mancanza di una effettiva causale della sospensione dal lavoro, il giudice dell'appello non poteva d'ufficio dare rilievo a diverse e non dedotte ragioni quali, nella specie, l'esercizio arbitrario del potere imprenditoriale di scelta dei lavoratori da sospendere).