(massima n. 1)
Il chiamato all'eredità subentra al de cuius nel possesso dei beni ereditari senza la necessità di materiale apprensione, come si desume dall'art. 460 c.c. che lo abilita, anche prima dell'accettazione, alla proposizione delle azioni possessorie a tutela degli stessi, così come l'erede, ex art. 1146 c.c., vi succede con effetto dall'apertura della successione. Ne consegue che, nell'uno e nell'altro caso, instauratasi una situazione di compossesso sui beni ereditari, qualora uno dei coeredi (o dei chiamati) impedisca agli altri di partecipare al godimento di un cespite, trattenendone le chiavi e rifiutandone la consegna di una copia, tale comportamento — che manifesta una pretesa possessoria esclusiva sul bene — va considerato atto di spoglio sanzionabile con l'azione di reintegrazione. (Nella specie la Corte Cass. ha cassato la sentenza di merito che, dopo aver erroneamente qualificato come chiamato all'eredità un coerede che aveva trattenuto le chiavi di un immobile rientrante nell'asse ereditario, aveva escluso che tale comportamento, accompagnato dalla pretesa di possesso esclusivo del bene, costituisse violazione del compossesso dei coeredi, qualificandolo come «ritenzione da godimento esclusivo a titolo di comproprietà per effetto del meccanismo successorio» senza considerare che la ritenzione è una forma eccezionale di autotutela insuscettibile di applicazione analogica fuori dalle ipotesi normativamente previste).