(massima n. 1)
In tema di spettacoli osceni, le riprese di un'opera cinematografica non possono in alcun modo costituire, prima del montaggio, l'elemento materiale del reato previsto dall'art. 528 c.p., in quanto ancora è ignoto se il regista le utilizzerà nella pellicola cinematografica e ancor più se saranno sinallagmaticamente funzionali ad una più lata significazione artistica, che sia idonea a scolorirne l'eventuale oscenità. Pertanto va assegnato al montaggio il momento creativo dell'opera tanto sotto il profilo sostanziale che sotto quello delle realizzazioni artistiche, onde il momento consumativo del reato va correlato al montaggio e non alla ripresa. Esso rileva ancor più sotto il profilo artistico, perché rappresenta il momento delle scelte, il momento in cui l'ideazione diventa creazione, in cui le scene girate sono accettate o respinte e, comunque, il momento in cui le riprese, divenute sequenze, manifestano la loro attitudine ad esprimere compiutamente il discorso voluto dal suo autore. (Nella specie, relativa al film «Caligola», la Suprema Corte ha annullato la sentenza del giudice d'appello, avendo ritenuto non ascrivibile al regista il fatto-reato, previsto dalla prima parte dell'art. 528 c.p., per avere realizzato le riprese oggettivamente oscene. Ed invero l'elemento psichico dell'ipotesi in questione consiste, oltreché nell'ipotesi di riprendere le immagini oscene (dolo generico), anche nello scopo di farne distinzione e, nel campo cinematografico, di farne oggetto di pubblica proiezione (dolo specifico): nella specie il regista fu estromesso dalla produzione dopo la direzione delle riprese (tanto che ricorse al pretore) e il materiale realizzato fu utilizzato con l'ausilio di altro montatore ed altro regista).