(massima n. 1)
L'art. 416 c.p.c., nel prevedere per il convenuto — nel rito del lavoro — l'onere di prendere posizione, in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, non sanziona l'inosservanza di tale onere con la previsione di una qualche forma di decadenza (a differenza che per le domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito non rilevabili di ufficio, nonché per l'indicazione dei mezzi di prova), né contiene ulteriori clausole o previsioni in base alle quali possa ritenersi che la contestazione generica di quei fatti, da parte del convenuto, esoneri l'attore, in ordine ai fatti costitutivi del diritto da lui azionato, dall'onere probatorio posto a suo carico dalla norma generale di cui all'art. 2697 c.c., né che esima il giudice dal verificare l'adempimento di quell'onere da parte dell'attore. Una generica contestazione non può, pertanto, equivalere ad una ammissione, da parte del convenuto, della sussistenza dei fatti affermati dall'attore, ma può eventualmente integrare violazione del dovere di lealtà processuale, sanzionabile ai sensi degli artt. 88 e 92 c.p.c., e comunque essere discrezionalmente valutata, attenendo al contegno della parte nel processo, come semplice argomento di prova, ai sensi del comma 2 dell'art. 116 c.p.c., e pertanto, in quanto tale, solo come elemento aggiuntivo e integrativo rispetto alle risultanze dei veri e propri mezzi di prova.