(massima n. 1)
L'obbligo di astensione, rilevante in sede disciplinare a norma dell'art. 2, comma primo, lett. c), del d.l.vo 23 febbraio 2006, n. 109, non č limitato alle sole ipotesi previste dall'art. 51, comma primo, c.p.c. e dagli artt. 36 e 37 cod. proc. pen., ma č configurabile in tutti i casi nei quali sia ravvisabile un interesse proprio del magistrato o di un suo prossimo congiunto, poiché l'art. 323 c.p. fonda un dovere generale di astenersi, ove sussista un conflitto, anche solo potenziale, di interessi, che possono essere anche non patrimoniali, in quanto la previsione costituisce modalitą di attuazione del principio di imparzialitą, cui deve ispirarsi tutta l'attivitą dei pubblici ufficiali a norma dell'art. 97 Cost., ed il richiamo della disposizione ai requisiti della patrimonialitą e dell'ingiustizia del danno attiene non all'interesse, ma all'evento del reato. Ne consegue che, con riferimento al giudice civile, la facoltą di astenersi per gravi ragioni di convenienza deve ritenersi abrogata per incompatibilitą e sostituita dal corrispondente obbligo, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, tanto pił che la diversa soluzione esporrebbe la norma di cui all'art. 51, comma secondo, c.p.c. al dubbio di costituzionalitą, per disparitą di trattamento rispetto al giudice penale, su cui incombe l'obbligo di astenersi ai sensi dell'art. 36, comma primo, lett. h), cod. proc. pen., e a tutti i dipendenti della P.A., gravati di identico dovere per effetto dell'art. 6 del d.m. 28 novembre 2000, emanato dal Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri.