(massima n. 1)
Il giudice non può procedere alla liquidazione del danno biologico secondo i principi di cui all'art. 4 del D.L. n. 857 del 1976, conv. nella legge n. 37 del 1977, che si riferisce, nell'ambito dell'azione diretta contro l'assicuratore, al pregiudizio patrimoniale conseguente alla menomazione della capacità di produzione del reddito personale, ma deve fondarsi sul criterio equitativo di cui agli artt. 2056 e 1223 c.c., considerando le circostanze del caso concreto, e specificamente, quali elementi di riferimento pertinenti, la gravità delle lesioni, gli eventuali postumi permanenti, l'età, l'attività espletata, le condizioni sociali e familiari del danneggiato. Il giudice può anche ispirarsi a criteri predeterminati e standardizzati, purché ciò attui flessibilmente, definendo così una regola ponderale su misura per il caso specifico. Consegue che costituisce criterio valido di liquidazione quello che assume a parametro il valore medio del punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti giudiziari, purché la sentenza sia sorretta da congrua motivazione in ordine all'adeguamento del valore medio del punto alla peculiarità del caso. Condizioni di corretta applicazione di tale criterio debbono essere il suo collegamento al danno specifico e la sua personalizzazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva applicato, per la liquidazione del danno, un criterio equitativo, puro, senza alcun riferimento a tabelle, pur tenendo conto dei punti di invalidità, dando atto di aver tenuto conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del caso concreto, e segnatamente della rilevanza del danno estetico nella vita di relazione di una giovane donna).