(massima n. 1)
Salvo il divieto di reformatio in peius, il principio generale di cui all'art. 521 c.p.p. (potere del giudice di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione) — presidio del principio di obbligatorietà della legge penale — vale anche nel giudizio di legittimità. Tale facoltà di riqualificazione riguarda, oltre al fatto per come descritto nell'imputazione, anche il fatto per come accertato nella sentenza impugnata, in ipotesi diverso, con la conseguenza che la correlazione tra l'imputazione e la decisione può ridursi alla sola identità dell'episodio storico dedotto nel processo, quando il giudice dell'impugnazione constati che in base agli accertamenti contenuti nella sentenza di primo grado il medesimo episodio storico doveva essere considerato più grave per il titolo, per il grado o per le circostanze ed i relativi elementi non appaiano menzionati nell'imputazione contestata. Invero, il potere del giudice di dare al fatto una qualificazione giuridica diversa da quella contenuta nell'imputazione — riferendosi ai fatti accertati e superando così la contestazione — deriva sia dall'art. 521 c.p.p., che riguarda la definizione giuridica diversa da quella imputata, sia dall'art. 597 stesso codice, che nell'enunciare tale potere, non fa più menzione dell'imputazione. Ne consegue che i limiti della riqualificazione dell'imputazione sono segnati dalla competenza del giudice di primo grado determinata dall'imputazione e dall'accertamento compiuto.