(massima n. 2)
In tema di acquisizione e valutazione della prova, la legge 7 agosto 1997 n. 267, modificando gli artt. 513 e 514 c.p.p., ha espressamente sancito, tra l'altro, il divieto di lettura - e, conseguentemente, di allegazione al fascicolo per il dibattimento ex art. 515 c.p.p. e di utilizzazione probatoria ai fini della deliberazione ex art. 526 c.p.p. - dei verbali contenenti le dichiarazioni rese da persona imputata in un procedimento connesso, la quale si avvalga della facoltà di non rispondere, senza l'accordo delle parti. La norma transitoria di cui all'art. 6 di detta legge subordina la applicabilità delle nuove regole, nei giudizi di merito in corso, ad un duplice presupposto: a) che vi sia la richiesta della parte interessata; b) che, sussistendo altresì nel giudizio di appello, ed eventualmente in quello di rinvio, le ulteriori condizioni positive (assenza di preclusioni da giudicato, limiti di devoluzione dell'impugnazione e decisività sul punto) per il nuovo esame del dichiarante, questo venga disposto ed abbia successivamente luogo, sospendendosi altresì, per il tempo a tal fine necessario, il corso della prescrizione. Ciò posto, appare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della citata norma transitoria, in relazione agli artt. 3 e 24, comma secondo, della Costituzione, con riferimento all'esclusione, per il giudizio di legittimità, delle facoltà inerenti all'esercizio del diritto di difesa - richiesta di nuovo esame del dichiarante - e della regola di valutazione probatoria di siffatte dichiarazioni procedimentali, previste per i giudizi di merito in corso e per il giudizio di rinvio disposto dalla Corte di cassazione a seguito di annullamento. Ed invero, appartiene alla discrezionalità del legislatore ordinario, nel momento in cui entra in vigore una nuova disciplina del processo, stabilire se le nuove norme si applicano soltanto ai fatti per i quali non sia ancora iniziato il procedimento penale, ovvero se alcune norme debbano applicarsi ai procedimenti in corso, sì che eventuali differenze tra imputati non costituiscono ingiustificate disparità di trattamento, essendo tale evento connaturato al principio generale della successione della legge processuale nel tempo (tempus regit actum), secondo cui le innovazioni processuali stabilite dalla legge non operano in rapporto a situazioni processuali consolidate o irreversibili: orbene, le situazioni processuali obiettivamente diverse dei giudizi di merito e di quelli di legittimità, in corso alla data di entrata in vigore della citata legge n. 267 del 1997, ben giustificano la disciplina differenziata per essi prevista dalla disposizione transitoria dell'art. 6 della stessa legge.