(massima n. 2)
Nell'esercizio del potere di ammissione di nuove prove, conferitogli dall'art. 507 c.p.p. il giudice - tenuto a non trascurare che «fine primario ed ineludibile del processo penale non può che rimanere quello della ricerca della verità» e che ad un ordinamento improntato al principio di legalità, nonché al connesso principio di obbligatorietà dell'azione penale non sono consone norme di metodologia processuale che ostacolino in modo irragionevole il processo di accertamento del fatto storico necessario per pervenire ad una giusta decisione - è stato munito dal legislatore, al fine di evitare assoluzioni o condanne immeritate, di un potere riequilibrante atto a supplire alle carenze probatorie delle parti, quando le stesse incidano in modo determinante sulla formazione del convincimento e sul risultato del giudizio. La correttezza dell'uso del detto potere è, poi, agevolmente riscontrabile sulla base dell'utilizzazione dei risultati delle nuove prove sia nella formazione del convincimento sia nella motivazione della decisione.