(massima n. 1)
L'interesse ad impugnare un'ordinanza di applicazione di misura cautelare persiste in capo all'indagato rimesso in libertà, purché egli manifesti, in termini positivi ed univoci, l'intenzione di utilizzare in futuro la pronuncia richiesta ai fini dell'azione di riparazione per l'ingiusta detenzione: intenzione che, nel giudizio di cassazione, può essere comunicata dal difensore direttamente in udienza o con memoria scritta. Il meccanismo previsto dall'art. 405, comma 1 bis, c.p.p., introdotto dall'art. 3 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, che collega la richiesta di archiviazione del pubblico ministero alla pronuncia della Corte di cassazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non determina sempre e comunque l'interesse all'impugnazione da parte della persona sottoposta alle indagini sul presupposto che la decisione della Corte di cassazione condizionerà la scelta del P.M., in quanto i casi in cui la decisione investe la sussistenza dei gravi indizi sono rari, riguardando il controllo di legittimità, in genere, la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione al fumus commissi delicti, a meno che non si tratti di ricorso per saltum che annulli l'ordinanza coercitiva senza rinvio o di rigetto del ricorso del P.M. avverso l'ordinanza di revoca emessa dal tribunale della libertà. (Mass. redaz.).