(massima n. 1)
In tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, l'ingiustizia formale della detenzione, anche se conseguente a diversa qualificazione del fatto contestato nell'imputazione come reato procedibile a querela, tuttavia mancante, e/o punito con pena edittale non superiore nel massimo a tre anni di reclusione, deve risultare da una decisione irrevocabile in fase (o comunque, come nel giudizio direttissimo, con valenza anche) cautelare: invero, la «derubricazione» che avvenga al di fuori del giudicato (con valenza) cautelare e nel giudizio di merito - per effetto della valutazione di circostanze emerse solo nella istruzione dibattimentale o rilevante dal giudice di ufficio, senza che abbiano costituito oggetto della controversia - è estranea alla categoria dell'errore giudiziario, giacché in tal caso l'applicazione della misura è originariamente legittima e manca il titolo del diritto alla riparazione, che sorge esclusivamente se, in seguito alla detta «derubricazione», la custodia cautelare sia illegittimamente mantenuta, come si ricava dalla seconda previsione contenuta nell'art. 314 cpv. c.p.p. (Nella fattispecie la decisione di merito che riconosceva il diritto all'indennità - annullata senza rinvio in applicazione del principio massimato - era relativa ad una detenzione disposta per il reato originariamente contestato di sequestro di persona, derubricato in ratto a fine di libidine e dichiarato improcedibile per la non equipollenza dell'atto di denuncia a querela, rilevata d'ufficio solo dalla corte d'appello).