(massima n. 1)
La riparazione per ingiusta detenzione (artt. 314 e 315 c.p.p.) rientra nella categoria degli indennizzi, che postula l'obbligo di ristoro, in senso lato, di un pregiudizio subito da un soggetto ad opera della condotta, pur legittima, di altri. Ai fini della quantificazione della riparazione pecuniaria, poi, diversamente dalla riparazione dell'errore giudiziario (art. 643 c.p.p.), si deve tener conto esclusivamente dei pregiudizi derivati dalla privazione della libertà personale; bene, questo, il cui valore è da considerare identico per qualsiasi soggetto. Ne consegue che la riparazione, quale indennizzo di un pregiudizio, obiettivamente ingiusto, ma dovuto al corretto esercizio della giurisdizione penale, va quantificata sulla base di un solo parametro, facendo riferimento da un lato alla durata della privazione della libertà, dall'altro all'entità della somma massima fissata dal legislatore, unitamente alla durata massima di legge della custodia cautelare. Ciò non esclude, peraltro, il potere-dovere del giudice di procedere ad aggiustamenti del risultato di siffatta operazione, in relazione a circostanze accessorie tanto obiettive (quali, ad esempio, le modalità più o meno gravose della privazione della libertà), quanto soggettive (quali, ad esempio, l'incensuratezza, le condizioni economiche, danni all'immagine, strepitus fori e simili), con esclusione di quelle da considerare irrilevanti rispetto al principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione (quali, ad esempio, l'appartenenza del soggetto ad una determinata classe sociale, l'assunta maggiore o minore sensibilità alla privazione della libertà, la capacità di produrre redditi, ecc.).