(massima n. 1)
Mentre l'art. 254 quinquies del codice abrogato consentiva di impugnare le ordinanze che decidevano in ordine alla «misura» degli arresti domiciliari, e, di conseguenza, in ordine all'applicazione ed alla revoca della misura stessa, con esclusione di ogni questione relativa alle prescrizioni imposte, l'art. 310 del codice vigente si riferisce in modo più lato all'impugnazione delle «ordinanze in materia di custodia cautelare», e cioè ad ogni provvedimento avente ad oggetto la materia della libertà personale e quindi anche a quelli che, imponendo o negando determinate prescrizioni, finiscono con l'incidere in maniera più o meno restrittiva sulla privazione della libertà medesima; ne deriva che il provvedimento di concessione o di diniego all'imputato in stato di arresti domiciliari dell'autorizzazione ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di custodia per esercitare un'attività lavorativa, è impugnabile con il rimedio dell'appello di cui all'art. 310 suddetto, avendo ad oggetto una modifica, non contingente (come il permesso), bensì permanente delle modalità di esecuzione della misura cautelare coercitiva, che incide inevitabilmente sullo status libertatis del soggetto.