(massima n. 1)
Lo strumento della revoca della misure cautelari, in quanto diretto a consentire la valutazione della sussistenza ex ante e della persistenza ex post delle condizioni di applicabilità delle misure, non giustifica, in relazione alla sua funzione, alcun limite alla verifica dell'attualità delle stesse, anche con riferimento ai soli fatti preesistenti all'adozione della cautela, dei quali può essere effettuato nuovo e diverso apprezzamento. Ne deriva che, nel caso di istanza dell'interessato, è imposto al giudice il dovere di esaminare qualsiasi elemento e questione attinente alla legittimità del mantenimento della misura, con l'unica preclusione derivante dalla circostanza che il controllo delle condizioni di applicabilità sia stato già in concreto effettuato: la precedente decisione, infatti, anche se priva dell'effetto del giudicato, non può che produrre nei confronti delle parti interessate un'efficacia analoga a quella prevista dall'art. 666, comma 2, c.p.p. (secondo cui è inammissibile la proposta di incidente di esecuzione consistente nella mera riproposizione di una richiesta già rigettata basata sui medesimi elementi), che pone un principio di carattere generale, applicabile anche al di fuori del procedimento di esecuzione per cui è dettato e preclusivo, allo stato degli atti, di una nuova pronuncia giurisdizionale in ordine alle questioni trattate. (Alla stregua di tale principio la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale che, pronunciandosi in sede di appello sul rigetto della richiesta di revoca di una misura cautelare reale, aveva ritenuto precluso l'esame delle questioni che avrebbero potuto essere sollevate con l'impugnazione del decreto applicativo della misura).