(massima n. 1)
Le dichiarazioni accusatorie, spontaneamente rese da un indagato a norma dell'art. 350, comma settimo, c.p.p., raccolte dalla polizia giudiziaria ma non documentate in verbale (né per esteso né riassunto), possono essere utilizzate in fase di indagini preliminari come indizio di reato e stimolo ed oggetto di ulteriori investigazioni, non ricorrendo né l'inutilizzabilità generale di cui all'art. 191 c.p.p. (mancando un espresso o implicito divieto) né una ipotesi di inutilizzabilità specifica. Esse, tuttavia, non sono utilizzabili ai fini della emissione della misura cautelare nei confronti di altra persona chiamata in correità. La chiamata di correità, emergente da dichiarazioni spontanee, non formalizzate in verbale secondo l'espressa previsione dell'art. 357, comma secondo, c.p.p., non è infatti suscettibile di alcuna utilizzazione dibattimentale. Tale utilizzazione, pure ai limitati fini della contestazione di cui all'art. 503, terzo comma, è possibile soltanto se le dichiarazioni siano state verbalizzate secondo quanto è richiesto dall'art. 357, comma secondo. Ciò significa che tali dichiarazioni, non essendo suscettibili in alcun modo di concorrere, neppure come indizio, alla formazione di un quadro probatorio che sorregga il giudizio di colpevolezza dell'imputato, non possono costituire i «gravi indizi di colpevolezza» necessari per l'emissione di un provvedimento cautelare. Questi infatti devono essere tali da legittimare la probabilità di un giudizio di colpevolezza, sia pure con gli arricchimenti e gli ulteriori approfondimenti che potranno venire dall'ulteriore corso del procedimento. Ma la assoluta insuscettibilità di utilizzazione dibattimentale rende impossibile formulare una prognosi di probabilità sulla base di tali indizi: questi, cioè, non possono considerarsi «gravi», come invece richiede l'art. 273 c.p.p. per l'adozione di una misura cautelare personale. (Nella specie la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza del tribunale di rigetto dell'istanza di riesame e l'ordinanza applicativa della misura della custodia in carcere, motivata sulla base di una chiamata di correità costituita da dichiarazioni accusatorie di un indagato, non verbalizzate ma riferite in una nota informativa della polizia giudiziaria).