(massima n. 1)
Pur non potendosi in assoluto affermare che il ruolo dirigenziale o verticistico, di cui taluno risulti investito nell'ambito di un sodalizio mafioso, sia di per sé sufficiente a far ritenere quel soggetto automaticamente responsabile di ogni delitto materialmente compiuto da altri appartenenti all'organizzazione e rientrante nel quadro generale del programma ad essa riferibile, quando si tratti della formulazione di un giudizio non di definitiva colpevolezza, ma di sola probabilità di essa, ai fini dell'applicazione di una misura cautelare, lo stesso ruolo dirigenziale o verticistico, unito alla accertata rapportabilità del singolo delitto alla associazione in cui quel ruolo viene esercitato, può legittimamente essere qualificato come indizio grave, nel senso richiesto dall'art. 273, comma 1, c.p.p., specie quando il delitto commesso sia di particolare importanza, sì da rendere del tutto ragionevole la presunzione che esso non possa essere stato attuato se non con la preventiva deliberazione dei vertici dell'organizzazione stessa. In tale ipotesi è irrilevante l'eventuale dissenso nella fase di formazione della specifica deliberazione delittuosa, poiché, una volta che la decisione di compiere quel determinato crimine sia intervenuta, nella successiva fase di esecuzione, in virtù delle regole ferree dell'organizzazione criminale, il singolo — il quale nella partecipazione con carattere permanente al sodalizio e nell'accettazione preventiva del programma e della strategia operativa comune continua a perseguire e a condividere — concorre a realizzare il perfezionamento, se non altro nella forma del concorso morale con gli autori materiali, nei cui confronti appare anche egli quale mandante comune.