(massima n. 1)
In tema di applicazione del disposto del secondo comma dell'art. 266 c.p.p. — secondo il quale l'intercettazione di comunicazioni tra presenti, quando avvenga nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p., «è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa» — per luogo di privata dimora deve intendersi quello adibito ad esercizio di attività che ognuno ha il diritto di svolgere liberamente e legittimamente, senza turbativa da parte di estranei e tale è anche il luogo di esercizio di attività commerciale (nella specie trattavasi di un'agenzia di trasporti). (Nell'affermare il principio di cui in massima, la Cassazione ha anche rilevato che il principio dell'inviolabilità del domicilio — art. 14 Cost. — va correlato con la facoltà attribuita — art. 15 Cost. — alla legge ordinaria di prevedere e regolare intromissioni nel privato anche con la limitazione di ogni forma di comunicazione per atto motivato dell'autorità giudiziaria; limitazione conseguente al privilegio che compete all'interesse pubblico la cui attuazione è demandata al P.M. dalla Costituzione-art. 112).