(massima n. 1)
Le dichiarazioni rese da coimputati o da imputati di reato connesso o collegato nel corso delle indagini preliminari sono utilizzabili a fini di decisione, e non soltanto per le contestazioni a norma degli artt. 503, quarto comma, e 500, terzo comma, c.p.p. E ciò per il regime di utilizzazione delle dichiarazioni risultanti dalla sentenza costituzionale n. 255 del 1992, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 500, terzo e quarto comma, c.p.p., nella parte in cui non prevede l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni, delle dichiarazioni precedentemente rese e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, nonché, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità dell'art. 2, n. 76, nella legge-delega, nella parte in cui prevede il potere di allegare nel fascicolo processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, solo le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto e non anche le dichiarazioni precedentemente rese da testimoni e contenute nel fascicolo del pubblico ministero; senza contare la «novellazione» apportata al testo dell'art. 500 dall'art. 7 del decreto legge n. 306 del 1992 e, soprattutto, al quarto, quinto e sesto comma di tale articolo, ove è previsto un complesso regime di utilizzazione a fini di prova delle dichiarazioni di cui le parti si sono servite per le contestazioni. Inoltre, a norma dell'art. 513 c.p.p., quale risultante a seguito della già ricordata sentenza costituzionale n. 254 del 1992, l'ipotesi del coimputato che rifiuti di rendere dichiarazioni è stata inserita nel sistema speciale disciplinato dall'art. 513, primo comma, c.p.p., che concerne il potere del giudice di disporre la lettura (a cui consegue l'allegazione al fascicolo per il dibattimento, ex art. 515 c.p.p.) delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento dai soggetti indicati dall'art. 210 c.p.p. Poiché, poi, come ha osservato la Corte costituzionale nella sentenza adesso ricordata, la disciplina risultante dalla parziale dichiarazione d'illegittimità implica che gli imputati in procedimento connesso «hanno la possibilità di sottrarsi, in tutto o in parte, all'esame, così determinando, nel caso in cui avessero reso precedenti dichiarazioni, quel tipo di situazione che lo stesso legislatore delegato ha inteso qualificare come un'ipotesi di impossibilità sopravvenuta dell'atto», il regime di utilizzazione degli atti è quello predisposto dagli artt. 238 e 511 bis e non quello enucleato dagli artt. 500 e 503, con conseguente utilizzabilità di tali atti a fini di prova, a norma dell'art. 526, primo comma, c.p.p. (v. Corte cost., sentenza n. 254 e 255 del 1992).