(massima n. 1)
La disciplina dettata dall'art. 27 c.p.p. per il caso di misura cautelare disposta da giudice dichiaratosi incompetente non trova applicazione nei rapporti fra tribunale in composizione monocratica e tribunale in composizione collegiale, trattandosi di diverse articolazioni dello stesso organo giudiziario e trovando conferma, il suddetto assunto, anche nell'art. 33-nonies c.p.p., per il quale l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale non solo non dà luogo ad inutilizzabilità delle prove già acquisite (analogamente a quanto previsto, per il caso dell'incompetenza, dall'art. 26 c.p.p.), ma neppure comporta, più in generale, "l'invalidità degli atti del procedimento". (In motivazione la Corte ha anche osservato che il suddetto principio non si pone in contrasto con quello affermato dalla sentenza della sez. V, 11 novembre 1991 - 16 giugno 1992 n. 3653, Pileri, poiché "tale sentenza si riferisce ad un caso in cui mancava una regolare investitura per il giudizio direttissimo, sicché poteva profilarsi una incompetenza funzionale del giudice", mentre nel caso in esame risultava che il tribunale monocratico era stato "ritualmente investito del giudizio direttissimo per un reato rientrante nel suo ambito di cognizione", ed aveva rilevato solo successivamente, "l'emergenza dagli atti del giudizio (e dall'esito dello stesso) di un reato attribuito alla cognizione del tribunale nella diversa composizione collegiale").