(massima n. 1)
La competenza per territorio non può essere determinata sulla base delle sopravvenute dichiarazioni rese nel dibattimento dall'imputato circa il luogo della commissione del reato; la legge processuale, infatti, stabilendo, art. 21, comma 2, c.p.p., che l'incompetenza territoriale è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, al più tardi entro il termine di cui all'art. 491, comma 1, c.p.p. — cioè nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, subito dopo la verifica, per la prima volta, della costituzione delle parti — ed inserendo la trattazione e decisione delle relative problematiche tra le «questioni preliminari», ha chiaramente inteso vincolare le statuizioni sul punto allo stato degli atti, precludendo qualsiasi previa istruzione od allegazione di prove a sostegno della proposta eccezione; né, ponendo il predetto limite temporale alla rilevabilità od eccepibilità dell'incompetenza territoriale, la legge formula alcuna riserva per il caso che la necessità di proporre la questione sorga solo nel corso del dibattimento per l'emergenza di nuovi elementi. (Nell'affermare detto principio la corte ha altresì precisato che ai fini della determinazione della competenza territoriale non può attribuirsi valore decisivo alle dichiarazioni dell'imputato circa il luogo di consumazione del reato, ove non sorrette da sicuri elementi di riscontro, dovendosi la competenza stessa determinare in base ad elementi oggettivamente certi).