(massima n. 2)
In tema di reati societari, l'estensione della procedibilità a querela, secondo quanto previsto dall'art. 2622, comma secondo, c.c. (nel testo novellato dall'art. 1 del D.L.vo 11 aprile 2002 n. 61), anche al caso in cui «il fatto integra altro delitto, ancorché aggravato a danno del patrimonio di soggetti diversi dai soci e dai creditori, salvo che sia commesso in danno dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee», presuppone che si versi in ipotesi di concorso formale, e cioè che la medesima azione che integra gli estremi della condotta prevista dal citato art. 2622 (false comunicazioni sociali in danno dei soci o dei creditori), configuri anche diversa fattispecie prevista da altra norma incriminatrice; il che non si verifica nel caso della truffa, per la cui configurabilità occorre, rispetto alla condotta che integra le false comunicazioni sociali, un quid pluris, rappresentato sia dall'induzione in errore, sia dalla sussistenza dell'altrui danno, il quale ultimo non rappresenta un'aggravante ma è uno degli elementi costitutivi del reato, assente nella fattispecie delle false comunicazioni sociali; ragion per cui non può ad esso riferirsi l'inciso «ancorché aggravato... etc.», il quale attiene non agli elementi costitutivi del reato cui si estende la procedibilità a querela, ma alla diversa ipotesi che tale reato risulti aggravato per l'esistenza di un danno a soggetti diversi dai soci e dai creditori. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto perseguibile, pur in assenza di querela, il reato di truffa in danno della Federazione italiana gioco calcio contestato, unitamente a quello di cui all'art. 2622 c.c. - per il quale è stata invece dichiarata l'improcedibilità per difetto di querela - al presidente di una società calcistica, in relazione alla indebita percezione, sulla base dei dati di bilancio, del contributo federale alla suddetta società) (Mass. redaz.).