(massima n. 3)
La partecipazione all'assemblea di una società di capitali da parte di soci titolari della maggioranza del capitale sociale, ma privi del diritto di voto per aver costituito in pegno le proprie azioni, non inficia la validità della costituzione dell'organo societario, e non impedisce che la delibera adottata sia, pur sempre, imputabile all'ente tutte le volte in cui alla stessa assemblea abbiano, altresì, partecipato soci legittimati, benché detentori della minoranza del capitale sociale, con la conseguenza che la delibera adottata con il voto (eventualmente) determinante dei soci non legittimati è annullabile, ma non inesistente, diversamente dalla ipotesi in cui, all'assemblea, abbiano partecipato, esercitando il diritto di voto, esclusivamente i soci non legittimati. Il vizio derivante dall'esercizio del diritto di voto da parte del socio datore di pegno attiene, difatti, al rapporto tra ii socio stesso ed il creditore pignoratizio, e non riguardo, per converso, l'organo assembleare, essendo in facoltà del creditore pignoratizio di azioni manifestare tacitamente la volontà di ratificare quel voto astenendosi dall'impugnare la delibera adottata con il voto del titolare delle azioni date in pegno.