(massima n. 1)
I limiti del potere rappresentativo, stabiliti dagli artt. 2210 e 2211 c.c., collocano le mansioni del commesso in un ambito meramente esecutivo, con preclusione di attività partecipativa alla determinazione del contenuto negoziale, sicché il commesso, anche se autorizzato alla conclusione di contratti in nome dell'imprenditore, non può, di propria iniziativa, introdurre clausole che determinino deviazione dalla disciplina del tipo contrattuale. E poiché la normativa non stabilisce un sistema di pubblicità per i poteri rappresentativi del commesso, l'affidamento del terzo contraente riceve tutela nei limiti del normale esercizio del potere di rappresentanza, come sopra delineato. Ne consegue che, ove il commesso svolga un'attività che si pone al di là di tali limiti, il terzo contraente non può invocare la propria condizione soggettiva di buona fede o i principi dell'apparenza per farne discendere conseguenze a sé favorevoli. (In applicazione di tali principio, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte di merito che, nella specie, in cui si verteva in materia di contratto di trasporto, aveva escluso che il commesso, ancorché autorizzato alla conclusione di contratti, fosse abilitato alla sottoscrizione di clausola limitativa della responsabilità del vettore e della risarcibilità del danno per perdita delle cose a lui affidate per il trasporto, avuto riguardo alla circostanza che i patti limitati della responsabilità, all'epoca della stipula del contratto di trasporto, avvenuta in epoca anteriore alla entrata in vigore della legge sui limiti della responsabilità del vettore, richiedevano specifica approvazione per iscritto, e, pertanto, non potevano essere considerati come rientranti nella disciplina del tipo contrattuale).