L'art. 816 quinquies consente l'intervento volontario e la chiamata in arbitrato di un terzo, introducendo una deroga ai limiti processuali all'intervento.
Per quanto concerne l'intervento volontario, si richiede l'accordo del terzo, delle parti e degli
arbitri.
Se l'intervento avviene su chiamata di parte, occorre distinguere a seconda che il
collegio sia stato nominato da un terzo o dalle parti stesse.
Nel primo caso, il consenso del terzo, parte del patto compromissorio, è irrilevante; nel secondo caso, avrà diritto alla nomina di un proprio arbitro se non ritenga di aggregarsi a una nomina già effettuata.
Non è mai richiesto il consenso delle altre parti e degli arbitri nell'ipotesi di intervento
ad adiuvandum ,
ricorrente in presenza di soggetti titolari di situazioni soggettive dipendenti interessate a sostenere le ragioni di una parte, e ciò perché tale forma di intervento non comporta alcuna proposizione di ulteriori domande né un ampliamento dell'ambito oggettivo dell'arbitrato.
L'intervento
ad adiuvandum, trova adesso esplicito riconoscimento nel secondo comma della norma in esame; poiché la norma nulla dice in ordine al diritto del terzo interventore di nominare un proprio arbitro, si ritiene che egli debba accettare il collegio nominato dalle parti originarie.
Tuttavia, nulla vieta che, con l'accordo di tutte le parti, la composizione possa essere modificata.
L'intervento coattivo, invece, deve ritenersi ammissibile solo su istanza di parte, non potendo disporre in tal senso direttamente gli arbitri, poichè privi di potere di imperio; a questi ultimi, comunque, sarà consentito di dare
comunicazione al terzo della pendenza della lite, affinché valuti l'opportunità di intervenire.
L’ultimo comma richiama l'
art. 111 del c.p.c. nel suo complesso, così eliminando ogni incertezza interpretativa che sussisteva prima della riforma in ordine all’applicabilità di tale norma al processo arbitrale.
Si esclude che l'intervento del successore possa determinare la necessità di rinnovare la composizione del collegio arbitrale, in quanto il subentro avviene
in statu et terminis a fianco del proprio dante causa pendente il processo.
Facendosi applicazione integrale di quanto disposto dall’art. 111 c.p.c., all'intervento del terzo potrà conseguire l'estromissione del dante causa secondo le regole ordinarie.
Occorre precisare che il
successore a titolo particolare non deve essere considerato terzo rispetto al processo, essendo parte del procedimento in quanto
destinatario degli effetti sostanziali dello stesso.
Anche se non ha partecipato al giudizio arbitrale, il successore nel diritto ha diritto di impugnare il lodo, spettandogli i rimedi consentiti alle parti.
Per ciò che concerne la
successione mortis causa , occorre ricordare che gli eredi non succedono necessariamente nel processo, il che comporta che in caso di loro disinteressamento, lo stesso potrà proseguire senza di loro e senza il successore a titolo particolare (quest'ultimo sarà sempre e comunque
obbligato dal
lodo e rimane salvo il suo diritto ad intervenire nel procedimento in corso).