La distinzione fra diritti disponibili e indisponibili e i suoi effetti
La distinzione fra diritti disponibili e diritti indisponibili occupa nel campo della decadenza, come in molti altri campi, un ruolo importante.
Il codice fa spesso riferimento a tale distinzione, che deve ritenersi fondamentale per lo studio del diritto, ma si astiene dal determinarla, Anzi, la Relazione al Re sul libro della tutela dei diritti dice che è riservato alla dottrina il compito di elaborare tale categoria (dei diritti indisponibili) e di delinearne l'ambito ».
Astrattamente la distinzione è facile. Sono disponibili quei diritti il cui esercizio soddisfa un mero interesse privato ; sono indisponibili quelli in cui l'interesse privato è connesso all'interesse pubblico, sì che omettendo di soddisfare il primo rimarrebbe insoddisfatto il secondo. Qui, per usare una metafora, si ha una specie di comunione fra il privato e lo Stato; e ciò spiega come il privato non possa disporre del diritto, in quanto ciò facendo disporrebbe di ciò che non è soltanto suo.
In concreto la distinzione non sempre è facile. Per rimanere nel nostro campo, ritengo che vertano in materia sottratta alla disponibilità delle parti le decadenze in materia di stato (articoli 117-123, 244, 246, 265, 266, 271) e quelle che concernono impugnative contro provvedimenti dell'autorità giudiziaria o amministrativa (articoli 854, 2189, 2192, 233o, 2411, 2446, etc.).
Dalla disponibilità o indisponibilità della materia derivano:
a) la possibilità di stabilire contrattualmente delle decadenze ;
b) la possibilità di modificare la disciplina legale dell'istituto ;
c) l'efficacia del riconoscimento come atto impeditivo (art.2966) '
d) la possibilità di rinuncia ;
e) la rilevabilità o irrilevabilità d'ufficio.
L'art. 2936 come limite alla modificabilità della disciplina della decadenza
Le modifiche alla disciplina legale possono incidere:
a) sulla previsione di cause di sospensione,
b) sulla durata del termine, che potrò risultare più lungo o più breve di quello stabilito dalla legge,
c) sulla previsione di altri atti o fatti impeditivi.
La possibilità di modificare la disciplina legale della decadenza trova un limite nella norma dell'art. 2936, e di abbreviare contrattualmente i termini di prescrizione. Le modifiche non possono perciò concernere quelle regole, per cui la disciplina legale della decadenza si distacca da quella della prescrizione, e cioè : l'inammissibilità delle cause di interruzione e l'inammissibilità di un indefinito rinnovarsi del termine.
In realtà questo limite non sembra logico.
Quando è ammesso che le parti possono per contratto stabilire delle decadenze, si è ammesso il più. Si tenga presente che fra i due istituti non esiste alcuna differenza sul piano ontologico (n. 8 del preambolo), e che la distinzione riguarda solo il regime legale. Ammettere la categoria delle decadenze contrattuali significa, in ultima analisi, consentire alle parti, nonostante il divieto dell'art. 2936, di derogare alle norme sulla prescrizione non solo per quanto riguarda la più breve durata del termine, ma anche per quanto concerne le cause di interruzione. Negare alle parti il potere di modificare la disciplina legale della decadenza in guisa da farla coincidere con quella della prescrizione significa quindi non tanto assicurare il rispetto dell'art. 2936, quanto, al contrario, ammettere la deroga massima e non la minima.
Logicamente il potere delle parti di stabilire l'estinzione di un diritto per il decorso del tempo, una volta ammesso, non dovrebbe avere altri limiti se non quello massimo del termine di prescrizione ordinario (oltre il quale si sacrifica l'esigenza pubblica che i diritti non rimangano troppo a lungo inesercitati) e quello minimo risultante dall'art. 2965 (oltre il quale si pone la parte in una situazione eccessivamente onerosa).
Altri limiti risultanti da norme speciali
Alla derogabilità del regime legale della decadenza, la legge pone talora dei limiti specifici. Ricordiamo : a) l'art. 1501, per cui il termine del riscatto non può essere maggiore di due o cinque anni, secondo che si tratti di beni mobili o immobili, non è prorogabile, e se convenzionalmente fissato in misura maggiore si riduce automaticamente a quello legale ; b) l'art. 2892 che stabilisce l'improrogabilità dei termini fissati negli articoli 2889 e 2891; l'art. 2441; per cui il termine per l'esercizio del diritto di opposizione non può essere inferiore a giorni quindici ; l'art. 1932, per cui le norme degli articoli 1892, 1893 e 1897 (concernenti casi di decadenza) non possono essere derogate se non in senso più favorevole all'assicurato, e le eventuali deroghe in senso meno favorevole sono sostituite di diritto dalle corrispondenti disposizioni di legge.
Altri limiti risultanti da norme speciali
L'ammissibilità della rinuncia alla decadenza fu oggetto di vivaci dispute dottrinali, prevalse poi la soluzione accolta oggi dal codice.
Alla rinuncia alla decadenza sono applicabili per analogia le norme del 2 e del 3° comma dell'art. 2937. Perciò non potrà validamente rinunciare alla decadenza chi non può validamente disporre del diritto ; e la rinuncia potrà risultare anche da un fatto incompatibile con la volontà di valersi della decadenza (ad esempio, dal pagamento eseguito consapevolmente e non viziato da errore).
Può confondersi il riconoscimento, quale atto impeditivo, con la rinuncia anticipata. Invero, per quanto concerne i diritti soggettivi e le potestà a tutela di libertà, il riconoscimento e la rinuncia anticipata vengono a coincidere almeno nell'effetto. Ma v'è, come abbiamo visto (sub art. 2966, n. 3), un'imponente altra categoria di decadenze, quelle relative a potestà d'acquisto, per cui 'il riconoscimento della potestà prima che la decadenza si verifichi non implica affatto rinunzia anticipata alla decadenza ; i due atti sono quindi ontologicamente distinti.
La decadenza viene normalmente fatta valere mediante eccezione. Può tuttavia, come la prescrizione, formare oggetto di una azione di accertamento.
Tanto l'eccezione che l'azione di accertamento della decadenza (come della prescrizione) sono imprescrittibili. Possono però esservi dei casi in cui la decadenza dev'essere, anch'essa, fatta valere in un termine perentorio. Tale è il caso dell'art. 509, 1° comma per cui íl creditore e il legatario, se non invocano la decadenza dal beneficio d'inventario, nel momento in cui sono sentiti dal pretore o comunque prima della nomina del curatore per la liquidazione, non possono più farla valere.
L'eccezione di decadenza, quando verta su materia non sottratta alla disponibilità delle parti, appartiene alla categoria delle eccezioni in senso sostanziale, della quale costituisce un classico esempio.
Legittimato a proporla è il soggetto passivo del rapporto giuridico cui inerisce il. diritto (o la potestà) colpito da decadenza. La norma generale risultante dall'art. 2968 è talora ripetuta ad abundantiam in lilla norma speciale (cfr. art. 505, ult. comma).
Posto che l'art. 2939 (come abbiamo sostenuto, supra, n. 7, VI) è applicabile per analogia alla decadenza, deve ritenersi legittimato a far valere la. decadenza anche il creditore ; così pure chi vi abbia un legittimo interesse (ad es., il legatario). Costoro assumeranno all'occorrenza la. veste di sostituti processuali.
Se la decadenza non sia rilevabile d'ufficio, l'eccezione dev'essere proposta, come ogni altra, alla prima udienza di trattazione, e sarà soggetta alla preclusione di cui all'art. 184 cod. proc. civ. A maggior ragione non potrà esser proposta in appello (art. 345, cpv., cod. proc. civ.). In passato, essendo diverso l'ordinamento del processo, si disputò sulla opponibilità della decadenza in grado d'appello, sostenendosi da taluni l'applicazione per analogia dell'art. 2110 cod. civ. 1865. Ma il nuovo codice ha eliminato, anche per la prescrizione, tale norma, e la Relazione al Re (n. 138) spiega che essa era divenuta incompatibile col sistema del nuovo processo civile.
Dato che il creditore può opporre la decadenza anche quando la parte vi ha rinunziato, e dato che la rinuncia può manifestarsi indirettamente con l'inattività processuale della parte, deve ammettersi che il creditore possa evitare le conseguenze della preclusione, in cui la parte che aveva intenzione di rinunziare sia incorsa. Ciò egli potrà fare intervenendo nel processo.
Invero, l'art. 268 cpv. cod. proc. civ. sembra porre un ostacolo in quanto dice : « Se l'intervento ha luogo dopo la prima udienza, il terzo non può compiere atti che non sono più consentiti alle parti ». Ma questo articolo dev'essere interpretato in modo da non privare di qualsiasi efficacia l'art. 2939, 20 al. Quella dell'art. 184 non è, neppure per le parti principali, una preclusione rigida, e può essere esclusa dal concorso di gravi motivi. Tale possibilità deve, a maggior ragione, ammettersi per il creditore, che non aveva in precedenza alcun motivo di sospettare della rinuncia della parte alla decadenza, e che solo dopo averne avuto notizia si è trovato nella necessità di intervenire.
L'obiezione che la parte negligente potrebbe in tal modo sottrarsi alla preclusione provocando l'intervento del suo creditore, è seria non è decisiva. Allo stesso modo si potrebbe dire che la parte pentita della rinunzia può paralizzarne gli effetti con l'aiuto del creditore. ma ciò non serve a negare l'applicazione dell'art. 2939, 2° al.
Più grave è il problema della tutela dell'interesse del creditore quando il processo nel quale la decadenza non sia stata opposta, si sia già concluso con un giudicato. Per rispondere correttamente, bisogna esaminare la posizione del creditore rispetto al giudicato intervenuto fra le parti in sua assenza. Rientra egli nella categoria delle persone legittimate a proporre l'opposizione in base al primo comma dell' art. 404 c.p.c. o fra quelle contemplate nel comma successivo ?
A me non sembra dubbio che quest'ultima soluzione sia la più esatta. I creditori sono espressamente menzionati nel secondo comma ; e la potestà di opporre la decadenza non è che un riflesso della surrogatoria che spetta a qualsiasi creditore.
Deve perciò ritenersi che in caso di sentenza già passata in giudicato il creditore non potrà far valere la decadenza se non in caso di dolo mediante l'opposizione revocatoria, unico rimedio che gli concesso: Per lo stesso motivo non potrà neppure intervenire in appello (art. 344 in relazione all'art. 404 cod. proc. civ.).
Queste conclusioni sono forse criticabili de jure condendo, in quanto limitano notevolmente la possibilità di difesa del creditore e riducono a ben poco la sfera di applicazione pratica dell'art. 2939 ; ma, de lege lata mi sembra che l'opinione contraria, ancorché più equa, non possa facilmente sostenersi.