Limitazioni dei diritti del possessore della fede di deposito derivanti dalla coesistenza del diritto di pegno
Al possessore della sola fede di deposito competono gli stessi diritti che al possessore del doppio titolo, limitati dalla coesistenza del diritto di pegno sulle merci. Per
quanto riguarda il possesso ed il potere di disposizione, il limite consiste nell'impossibilità di attribuire il possesso delle merci a titolo di pegno - che non esclude però la possibilità di ottener credito mediante girata in garanzia della fede - e nell'impossibilità di richiedere la vendita (volontaria) delle merci depositate. Riguardo, invece, ai diritti ex deposito, che in linea di principio competono tutti, la garanzia dei diritti del creditore pignoratizio importa:
a) la necessità del consenso del possessore della nota di pegno per esercitare il diritto (in quanto riconosciuto dai regolamenti di esercizio: vedi, artt. 1787-1789) di compiere operazioni, come travasi, miscele, cernite, che alterino la condizione della merce. Inoltre, per quanto non sia espressamente disposto, deve ritenersi, data l'indole letterale della nota e l'esigenza di tutela dei successivi giratari di essa, che il cambiamento debba essere preventivamente annotato sulla nota;
b) la necessità di versare all'impresa dei magazzini l'importo integrale del credito e degli interessi, in quanto dovuti, calcolati fino alla scadenza, per poter ottenere la riconsegna delle merci depositate (art. 1795, 1° comma). Rispetto al contratto di deposito poi, il possessore della nota di pegno si trova nella posizione di un terzo interessato (vedi art. 1793), dalla quale discenderebbe, in mancanza di particolare disposizione, la subordinazione della riconsegna al consenso del terzo, ai termini dell'art. 1773. Rispetto a questo principio, la norma in esame non sembrerebbe tanto una deroga, quanto un chiarimento integrativo in relazione alla specifica ipotesi in cui l'interesse del terzo deriva dalla qualità di creditore pignoratizio. La mancata liberazione del depositario che abbia restituito la res deposita senza il consenso del terzo, ai sensi del citato art. 1773, si risolve, infatti, nella sua responsabilità verso il terzo medesimo per l'id quod interest, ed il pagamento integrale del credito esaurisce completamente, senza possibilità di residui, l'interesse del terzo-creditore pignoratizio. Tuttavia la deroga c'è sotto un altro profilo, poiché in base all'art. 1773 il depositario non sarebbe mai obbligato ad effettuare la restituzione ed accettare il versamento, com'è invece il magazzino ai sensi dell'art. 1795.
Il codice parla di «deposito» della somma presso i magazzini generali, ma ci si deve tuttavia chiedere se, nei confronti del possessore della nota, il versamento abbia efficacia estintiva del debito, costituisca cioe un pagamento. A considerarlo tale non vi sarebbe difficoltà dal punto di vista della legittimazione passiva, ben potendosi ravvisare un'ipotesi di autorizzazione legale del magazzino a ricevere, ai sensi dell'art. 1188; ma, tuttavia, induce alla conclusione negativa il carattere letterale della nota di pegno, per cui non può negarsi al possessore, ove, richiesta la vendita ai sensi dell'art. 1796, il magazzino non lo abbia informato dell'avvenuto versamento e non gli abbia corrisposto l'importo, di agire nei confronti degli obbligati cambiari, anche in via di regresso. Questi in tal caso saranno tenuti a pagare, ed avranno diritto a rivalsa nei confronti dell'impresa dei magazzini.
La soluzione accolta è più aderente, inoltre, alla mancanza di rapporti ex deposito tra magazzini e possessore della nota di pegno. Presumibilmente, quindi, il versamento rappresenta soltanto l'esercizio di una facoltà di sostituzione alle merci del denaro, che diventa oggetto del deposito in sostituzione di quelle.
Il secondo comma dell'art. 1795 prevede inoltre, purché si tratti di merci fungibili, il ritiro parziale delle merci depositate, subordinandolo al deposito di una somma proporzionale all'ammontare del debito garantito ed alla quantità delle merci ritirate. Tale ritiro si considera avvenire sotto la responsabilità di magazzini generali ciò vuol dire che questi sono tenuti a garantire che non ne soffra danno il creditore pignoratizio. Sembra ovvio, peraltro, che debbano considerarsi coperti da tale responsabilità soltanto i danni consistenti nella mancanza di proporzione della somma depositata rispetto all'ammontare del debito ed alla quantità di merce estratta, e non anche quelli derivanti dal perimento fortuito della merce residua, ove si possa dimostrare che quella restituita non sarebbe perita: diversamente, infatti, si addosserebbe ai magazzini la sopportazione di un danno non riconducibile ad alcuna loro negligenza e non evitabile. Limitata, invece, la responsabilità alla prima categoria di danni, la norma non implica alcuna iniquità dovendosi intendere nel senso che l'esercizio della facoltà di ritiro parziale sia soggetto all'onere di versamento della somma che verrà determinata dall'esercente, tenendo conto anche della possibilità di successivo ribasso del valore delle merci: così, se tale somma non risulterà proporzionale, il magazzino sopporterà un danno imputabile a sua negligenza o imperizia. D'altra parte deve riconoscersi al possessore della fede di deposito, ove la somma chiesta dal magazzino apparisca notevolmente superiore alla dovuta, il diritto di far ristabilire la proporzione dal giudice.
L'onere di versamento di una somma proporzionale non sembra applicabile all'ipotesi di prelevamento dei campioni d'uso, essendo la relativa facoltà riconosciuta senza restrizioni dall'ultimo comma dell'art. 1793. Salvo che, beninteso, l'entità dei campioni prelevati ecceda il limite entro il quale può riconoscersi l'uso commerciale, cui fa riferimento l'art. 1788.